La mostra didattica sul Caravaggio
intende delineare un percorso sintetico dell'opera del sommo pittore. Sono esposte le
immagini di alcuni dei dipinti più significativi, distribuiti nel periodo compreso tra
gli esordi romani e gli ultimi giorni napoletani, dal 1592 circa al 1610.
Ma perchè il titolo, "Ex umbris in veritatem"?
Perchè è significativo dell'evoluzione del pensiero e della tecnica del grande
pittore lombardo, proteso in una ricerca della realtà che si accompagna, idealmente, a
una sempre più profonda e drammatica ricerca della verità ultima delle cose.
Nello studio del Caravaggio, è impossibile separare l'opera dalla personalità
dell'artista e la mostra punta sugli effetti realistici e "teatrali" della
rappresentazione, ma anche su alcune problematiche nodali, quali i rapporti del pittore
con la Chiesa, con la committenza, con la tradizione cattolica, in un momento di intensi
dibattiti culturali.
L'esposizione, realizzata con il contributo della Regione Emilia Romagna, è
curata da Marco Bona Castellotti, in collaborazione con Silvia Bianchi, Silvia Perossi,
Emmanuela Ronzoni, Silvia Tartara, Manuela Villani.
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La mostra EX UMBRIS IN VERITATEM. Il
paradosso di Caravaggio è stata allestita in occasione del Meeting 1998. E' stata curata
da Marco Bona Castellotti, in collaborazione con Silvia Tartara, Silvia Perossi, Manuela
Villani, Emmanuela Ronzoni, Silvia Bianchi.
Approfondimenti: "...Per quanto la documentazione in nostro possesso sia
tutt'altro che esigua, delle circostanze della morte di Caravaggio, pictor
praestantissimus, si discetterà per chissà quanto ancora. Le sue condizioni di salute,
quando partì per Roma nella speranza di ottenere la grazia, non dovevano essere floride,
ma forse un altro e ben più tragico motivo fu la causa vera della sua morte.
Secondo il Baglione aveva deciso il viaggio di ritorno a Roma confortato dalla
"parola del cardinale Gonzaga, che col pontefice Paolo V la sua remissione
trattava". Certo di ottenere la grazia, si era imbarcato su una feluca, portandosi
appresso tre quadri: due raffiguranti San Giovanni Battista e uno la Maddalena, ma giunto
"sulla spiaggia fu in cambio fatto prigione, e posto dentro le carceri, ove per due
giorni ritenuto, e poi rilassato, più la felluca non ritrovava, sì che postosi in furia,
come disperato andava per quella spiaggia sotto la sferza del Sol Leone a veder se poteva
in mare ravvisare il vascello che le sue robe portava. Ultimamente arrivato in un luogo
della spiaggia, misesi in letto con febbre maligna; e senza aiuto humano tra pochi giorni
morì malamente, come appunto male havea vivuto".
Le parole di Giovanni Battista Baglione, pur contenendo non poche verità circa
i fatti accaduti nel luglio del 1610, tradiscono il risentimento dei tempi passati. In due
avvisi, del 28 e del 31 luglio, spediti al duca d'Urbino, si informa che Caravaggio era
morto a Porto Ercole mentre faceva ritorno a Roma, avendo ottenuto la grazia dal
pontefice. Morì il 18 del mese, come si apprende da due epitaffi dell'amico Marzio
Milesi, mentre cinque lettere, ritrovate da Vincenzo Pacelli nel 1991, nell'Archivio
Segreto Vaticano, aggiungono molti particolari interessanti.
La prima, datata 29 luglio, venne spedita da Deodato Gentile, vescovo di Caserta
e nunzio a Napoli, al cardinale Scipione Borghese, a Roma. Il Gentile dice che "il
povero Caravaggio non è morto in Procida, ma a Port'Hercole, perché essendo capitato con
la felluca, in quale andava a Palo, ivi da quel capitano fu carcerato, e la felluca in
quel romore tiratasi in alto mare se ne ritornò a Napoli. Il Caravaggio restato pregione,
si liberò con un sborso grosso di denari, e per terra, e forsi a piedi si ridusse sino a
Port'Hercole, ove ammalatosi ha lasciato la vita".
Prosegue poi riferendo delle "robbe", cioè dei tre dipinti rimasti
sulla nave, che il pittore si sarebbe messo affannosamente a cercare una volta liberatosi;
su di esse si concentra il contenuto delle altre quattro lettere. Il cardinale Borghese
doveva essere sulle spine, poichè almeno uno dei due San Giovannino era stato promesso a
lui e, data la fine del pittore e le vicende immediatamente seguite, rischiava di
perderlo.
Nel brevissimo intervallo tra l'arresto e la morte di Caravaggio i fatti si
accavallano convulsamente, e se la testimonianza del Baglione collima con il resoconto del
vescovo Deodato Gentile, troppi sono i punti oscuri di una vicenda dalle tinte alquanto
fosche. Come avrebbe potuto il pittore percorrere a piedi, sotto la "sferza del Sol
Leone" e in condizioni di salute non buone, un tratto di quasi cento chilometri di
strada, quale quello che separa Palo da Porto Ercole?
Molti sospetti si addensano anche sulla questione appena accennata e
inspiegabile di Procida. Il Mancini aveva scritto che Caravaggio era sbarcato a
Civitavecchia, poi stranamente corretto in Porto Ercole. A Civitavecchia alludono
probabilmente Baglione e anche Bellori, quando fanno riferimento a "una
spiaggia", senza nominarla. E poi che facevano "le guardie spagnole in
territorio pontificio" e per quale ragione avevano imprigionato Caravaggio?
Interrogativi tutti che hanno verosimilmente gettato nuove ombre sui fatti di
quelle ultime giornate. Inoltre il testo della prima lettera, quella che più
dettagliatamente entra nell'argomento delle circostanze della morte, nasconde una certa
reticenza, raffrenata e circospetta, a dire come veramente andarono le cose. Andarono
forse come è stato supposto, cioè che Caravaggio non morì nè di malaria nè d'altra
morte naturale, bensì fu fatto uccidere dal cavaliere di Malta che, non avendolo potuto
finire a Napoli, ne avrebbe studiato i movimenti sino a trovare l'occasione adatta a
concludere la sua esiziale missione?
Nella Notizia della Casa di Santi Apostoli per D. Franchesco Bolvito, datata
1630, si affermava che "il famoso pittore Michel'Angelo Caravaggio ebbe vicino a
cento scudi per farci la pittura che havea promesso; ma perchè fu ammazzato si perdè la
pittura con i denari"; ma questa testimonianza, un po' tarda, inosservata anzi caduta
pressoché nel nulla, forse meritava maggiore attenzione. Va tuttavia considerato che il
porto di Palo era luogo sicuro, così come Porto Ercole: di conseguenza che Caravaggio vi
approdasse era più che giustificato, non avendo ancora ottenuta la grazia che gli avrebbe
consentito di muoversi liberamente nello Stato della Chiesa.
Tutto ciò fa propendere per la versione ufficiale dei fatti, come viene esposta
negli "avvisi" e nelle fonti, riducendo la probabilità dell'ipotesi
dell'omicidio, con il conseguente rincaro di dose "romantica", germinato da tale
ipotesi, peraltro non del tutto avventata. Il 18 luglio 1610 si chiude la vita del più
grande interprete della cultura figurativa moderna, ispirata dal pensiero cattolico.
Agli estremi di verità cui giunse Caravaggio, nessuno, dopo di lui, si sarebbe
mai più elevato. "Morì malamente", ma soltanto la stolida cecità dei
moralisti può spingersi ad affermare che male "havea vivuto", visto che,
nonostante la vita violenta, pochi artisti, come lui, riuscirono, consapevolmente o
inconsapevolmente, a essere testimoni di quella verità"
(da "Il paradosso di Caravaggio" di Marco Bona Castellotti, ed. BUR
Rizzoli, 1998).
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1. DI FRONTE ALLA REALTA
Caravaggio si è formato in un momento culturale segnato
- dal naturalismo (cioè raffigurazione fedele della realtà) della pittura
lombarda
- dal richiamo di Carlo Borromeo alla rigorosa fedeltà al dato
storico-scritturistico (cioè al dato riportato nel Nuovo Testamento) nella
realizzazione di immagini religiose, allo scopo di tornare alle origini dellavvenimento
cristiano ("Esortiamo ad imitare lantica pietà e la religione dei fedeli
destatasi già nei tempi apostolici
")
La preoccupazione di Caravaggio "fu proprio quella di ricostruire le sacre
storie con spirito di fedele aderenza alle fonti" (Calvesi)
2. LA "REALTA" COME
INSUFFICENZA
La realtà appare nei primi quadri di Caravaggio come insufficiente a se stessa:
- Il Bacchino malato
indica la fragilità-precarietà della giovinezza, e così
anche Il ragazzo morso dal ramarro;
- la stessa Canestra di frutta evidenzia la decadenza-corruzione inevitabile
del reale.
Alla fine la domanda si porta su dove sia la consistenza dellio, della
persona, del singolo: una domanda inevitabile per chi vuole stare di fronte alla
realtà.
3. IL CRISTIANESIMO COME AVVENIMENTO
(CHE GENERA STUPORE)
"Dio è diventato avvenimento nella nostra esistenza quotidiana: questo è
il cristianesimo
Qualcosa di nuovo, di estraneo, di imprevedibile che fa irruzione
nella vita"(Tracce).
Al di là dei suoi dolorosi sbandamenti morali, Caravaggio ci testimonia una
acutissima chiarezza circa questo dato fondamentale del cristianesimo come avvenimento: un
fatto storico, fisico, in carne ed ossa, riguardante lesperienza sconvolgente di
uomini che hanno incontrato una presenza umana eccezionale, una persona
eccezionale, cioè Gesù Cristo.
- Così Matteo che viene sorpreso al banco delle imposte e attratto da questa
presenza;
- Tommaso e gli altri apostoli che stupefatti toccano con mano la corporeità di
Cristo risorto;
- i due discepoli di Emmaus che trasaliscono di fronte allimprovvisa scoperta
di Cristo risorto;
- Saulo che cade da cavallo perché imprevedibilmente investito da Qualcuno che
cambia la sua vita;
- i due pellegrini allibiti e commossi di fronte alla Madonna che si presenta loro
in carne ed ossa sulla soglia del Santuario di Loreto;
- Lazzaro raggiunto dal gesto creatore di Cristo che lo risveglia alla vita;
E un avvenimento dunque che desta uno stupore innegabile in coloro
che lo incontrano.
"Il vero dramma dei cristiani che vogliono definirsi moderni è il
tentativo di correggere lo stupore dellevento di Cristo con delle regole"
(Giovanni Paolo primo, 1978).
Lopposto di questo stupore è il fariseismo.
4. UN AVVENIMENTO NEL PRESENTE
Caravaggio mostra la consapevolezza che questo avvenimento non è relegato nel
passato ma raggiunge e investe il presente:
- Gesù e Pietro sono vestiti con abiti del primo secolo, Matteo e i suoi compagni
con abiti del sedicesimo secolo: una Presenza che fa irruzione nelloggi; (e così in
altri dipinti: Cena di Emmaus con Gesù in abito proprio e gli altri in abito
seicentesco; Cattura di Cristo con i soldati in armatura spagnola del seicento)
- Caravaggio si ritrae come personaggio partecipe della scena evangelica: nel
martirio di Matteo, nella cattura di Cristo, nella resurrezione di Lazzaro, nel martirio
di SantOrsola
E in sostanza la riscoperta del cristianesimo delle origini, che è
quanto si proponeva la riforma cattolica e la stessa riforma protestante.
Da notare che Caravaggio cerca limmedesimazione con i discepoli più
fedeli di Cristo: è il riconoscimento che lavvenimento cristiano raggiunge il
presente attraverso la compagnia umana di coloro che seguono Cristo, cioè la
Chiesa.
- Nella Deposizione di Cristo Gesù indica con la mano cadente la pietra
angolare alla base del quadro: Lui è la pietra angolare che scartata
dai costruttori diventa testata dangolo per la edificazione della
Chiesa (il gruppo dei discepoli che si erge sopra il corpo di Cristo).
5. UNA LUCE NELLE TENEBRE
"Nelle tenebre della nostra esistenza inizia a introdursi una luce sulla
verità di noi stessi
e quindi unaffezione verso sé e verso gli altri"(Tracce).
Caravaggio mostra in vari modi la sua percezione della tragicità della
vita:nei suoi primi quadri la percezione della fragilità della
condizione umana
quindi via via la percezione del dramma profondo della vita umana (oscurità
generale)
Si rafforza in lui
- la coscienza del proprio peccato
- laspirazione ad una realtà che è percepita come misericordia (anche verso
le prostitute), ma che non riesce a raggiungere
Lavvenimento cristiano si rivela come lunica luce che
illumina la tragedia della vita e rende luminoso e grande il volto delluomo. Si può
dire che Caravaggio, nonostante tutte le sue malefatte, abbia avuto la consapevolezza che
il volto dei discepoli di Cristo è quello di unumanità resa vera da una Presenza
amica. Alluomo non è chiesto di essere
perfetto, ma di chiedere di poter aderire a questa realtà umana nuova. |