SIAMO SOLI NELL'IMMENSO
VUOTO CHE C'E'
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"Siamo
soli nell'immenso vuoto che c'è... violenti... condannati... senza
redenzione... abbandonati... senza un perché tutte le verità vanno a pezzi...": pur nella sua
brillante musicalità questa canzone è evidentemente agghiacciante. E'
un nichilismo che
come abbiamo già visto parte da una negazione data per scontata, data come
punto di partenza senza discussioni, frutto di una pura opzione. La
musica mette però in evidenza una strana contraddizione: apre un orizzonte ampio,
sconfinato, che mal si concilia con il nichilismo del testo. Ma tutto sommato
in quest’ultimo trova posto anche l’espressione di un dolore sincero. In
questo senso questa canzone lascia intuire che l’ultima sua parola non può
essere il nulla. Possiamo
capire meglio questa posizione richiamando ancora una poesia di Par
Lagerkvist, Il dio che non esiste. Il dio che non esiste, è lui che accende le fiamme nella mia anima. Che fa della mia anima una landa deserta, una terra fumigante, una terra desolata che fumiga dopo l'incendio. Perchè egli non esiste E' lui che redime la mia anima facendola più povera e riarsa. Il dio che non esiste. Il terribile dio. Questa
risposta ha un solo difetto: è frutto di impazienza verso il Mistero che in un'altra poesia
ha notato essere lontano lontano. Il passaggio al "non esiste" è
una opzione, non è una ragione in atto, applicata. La risposta è impaziente e
irrispettosa verso il Mistero: esso diviene il "terribile dio".
Terribile, perché il significato, l'esistenza del significato nelle cose è
determinante, nonostante la negazione. Infatti, anche se uno nega agisce,
lavora magari nell'angoscia, ma sospira, aspira per il significato,
ipotizzando il significato, nell'attesa del significato. E' terribile questo
dio che è il significato negato della realtà. Ma
come Lagerkvist dice in un'altra poesia, Se
credi in dio e non esiste un dio, poiché la voce che reclama un
significato esiste, la realtà dell'esistenza di un significato è più grande
della sua negazione[1].
La possibile esistenza di un
significato, di un senso è più determinante la coscienza della realtà
che non l'opzione di nichilismo con cui l'io viene arbitrariamente fatto
coincidere con il nulla. C'è un residuo, dove un'incombente positività è vincitrice, in
qualunque caso[2]. Del
resto lo stesso Lagerkvist nella poesia Come
la nube si rivolge al mistero chiamandolo Tu, con una domanda drammatica ma già indice di un dialogo che
vince il nichilismo: ‘O
Signore di tutti i cieli, di tutti i mondi, di tutti i destini,che cosa hai
inteso fare con me?’[3] Un
brano di F.Nietzsche ci fa capire infine il contenuto tragico del nichilismo, con buona
pace di quanti ieri e oggi credono di vedervi una qualche ragione di vita. Ù Si
tratta di un apologo inserito nel testo La
gaia scienza. Nietzsche immagina un uomo che si presenta con una lanterna
accesa in pieno giorno al mercato della città, frequentato dalla gente
distinta della media borghesia europea della seconda metà dell’ottocento. E’
l’epoca del positivismo, dell’ateismo considerato come una conquista decisiva
per il progresso dell’umanità, dell’ottimismo circa le possibilità della
scienza di rispondere ad ogni bisogno umano; è la cosiddetta belle époque, il periodo a cavallo tra
l’ottocento e il novecento segnato dal diffondersi della moderna tecnologia e
dalla convinzione che lo sviluppo della scienza avrebbe garantito anche la
pace sociale. La
gente al mercato, dunque, davanti allo strano personaggio con la lanterna si
mette a deriderlo o a commiserarlo come un povero pazzo. Ma quest’ultimo, per
nulla turbato dalle risate degli astanti, comincia a parlare e a spiegare le
ragioni del suo comportamento. Egli ricorda anzitutto ai suoi ascoltatori che
la loro generazione ha compiuto un’opera gigantesca, che non ha precedenti
nella storia: essi sono riusciti nell’impresa fino ad allora mai potuta
realizzare dall’uomo di liberarsi di Dio, di uccidere Dio; essi possono
proclamare la notizia clamorosa della morte di Dio e, quindi, della
liberazione dell’uomo. Ma,
continua l’uomo con la lanterna, questo significa che tutto è cambiato: si è spenta la grande luce
che illuminava l’universo, si è fatto buio, si è fatto freddo, sempre più
freddo. Si è aperto l’abisso del nulla, e in questo abisso, senza più nè
alto, nè basso, nè destra, nè sinistra, l’uomo e il mondo stanno
precipitando. Le conseguenze della morte di Dio sono di portata cosmica e
questo non lo si è ancora capito. A
quel punto le persone presenti, dopo aver prestato inizialmente ascolto alle
parole dell’uomo con la lanterna, riprendono a deriderlo e a considerarlo
come un povero pazzo. Allora lo strano personaggio, dopo aver guardato
attentamente i volti della gente attorno a lui, conclude il suo discorso con
una enigmatica esclamazione: “Eh sì, io vengo troppo presto”; e detto questo
se ne va, con la sua lanterna accesa in mano. Il
corso degli eventi avrebbe poi confermato il contenuto di quella intuizione
profetica: il secolo che stava per iniziare, il novecento, sarebbe stato il secolo più drammatico
della storia, il secolo in cui l’umanità avrebbe sperimentato in molti modi
l’angoscia per la perdita di un significato adeguato per l’esistenza e
l’incapacità di sfuggire alla violenza che ormai senza freni determinava le
diverse ideologie di potere. |
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Che vuoto che c'è! La vita cos'è? E' una gara senza senso e noi siamo soli nell'immenso vuoto che c'è la vita cos'è? Agnus Dei, non ci sarà redenzione per i nostri peccati, e non c'è verità che non vada a pezzi, siamo pazzi, siamo dannati. Non prendersi mai e ritrovarsi qui distratti e abbandonati. Quante stelle nel chellophane questa notte avvolgerai? Quanti sogni nell'anima come angeli incontrerai? Non lo vedi? lo sai! Siamo fragili noi... Siamo soli nell'immenso vuoto che c'è soli in fondo all'universo senza un perché c'è bisogno di una luce quaggiù non lasciarmi amore almeno tu come me... Siamo soli nell'immenso vuoto che c'è! Dove sei? Come si fa a resistere in questi momenti? Se non c'è chi dà neanche una certezza una carezza siamo violenti! Quante stelle hai raccolto già per il buio che vivrai? Nei deserti dell'Anima quanti angeli incontrerai? Non lo senti? lo sai! Siamo fragili noi... Siamo soli nell'immenso vuoto che c'è condannati a dare un senso al nulla perché c'è bisogno di una luce quaggiù non lasciarmi amore almeno tu come me... Dammi un segno che non vivo più ne ho bisogno credi! Almeno tu... Siamo soli nell'mmenso vuoto che c'è soli in fondo all'universo senza un perché e ho bisogno di una luce quaggiù non lasciarmi amore almeno tu dove sei? Siamo soli nell'immenso vuoto che c'è e ho bisogno di te e ho bisogno di te dove sei dove sei dove sei dove sei? |
[1] Infatti, in astratto l'ipotesi dell'esistenza del significato e l'ipotesi della sua non-esistenza hanno pari legittimità e probabilità; ma se poi prendo atto che esiste qualcosa (la voce, cioè la realtà), allora "la realtà dell'esistenza di un significato è più grande della sua negazione".
[2] Le mie letture, p. 154.
[3] Citato in Le mie letture, p. 153.