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Alla ricerca di qualcosa che non trovano “Ecco verranno giorni -oracolo del Signore Dio - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore. Allora andranno errando da un mare all’altro e vagheranno da settentrione a oriente, per cercare la parola del Signore, ma non la troveranno. In quel giorno appassiranno le fanciulle e i giovani per la sete” (Amos 8,11-13) Questa è forse la canzone più famosa di Francesco Guccini ed anche la
più rappresentativa di un sentimento molto diffuso tra i giovani italiani
alla fine degli anni sessanta. Il movimento hippy e la
protesta studentesca avevano portato anche in Italia la consapevolezza
che era necessario un cambiamento del mondo, della società, dell'uomo, che
era giunto "il momento di negare tutto ciò che è falsità". La civiltà che stava
davanti ai giovani era una civiltà piena di contraddizioni: davanti a ideali
formalmente proclamati stava lo spettacolo di un mondo pieno di ipocrisie e
di meschinità. Il "dio" di quella società era morto, non convinceva
più nessuno, se non chi cercava un "perbenismo interessato". Era
giunto il momento di cercare un "dio risorto" dentro ideali nuovi,
dentro la novità di "ciò in cui crediamo e vogliamo", dentro
"il mondo che faremo"... E' evidente qui il riferimento al Dio cristiano, alla persona di
Cristo stesso; ma è anche evidente che si tratta di un riferimento equivoco:
la resurrezione di Cristo più che un fatto storico, un avvenimento reale, è
vista qui come un qualcosa di ideale, simbolico, trasfigurato in un umanitarismo universale. Non è da escludere che tutto ciò abbia alla radice un desiderio sincero
di riscoperta del cristianesimo, ma non c'è dubbio che manca la capacità o la
possibilità di capire che cosa sia veramente questo cristianesimo da
riscoprire. Insomma, qui protagonista più che un chiaro ideale cristiano è l'utopia, cioè una proiezione verso un futuro radioso
realizzato con le proprie forze. E ciò che è accaduto dalla fine degli anni
sessanta in poi mostra chiaramente come un'utopia non solo non sia la
risposta vera alle domande dei giovani, ma li conduca sulle strade della
violenza e della delusione, quelle stesse da cui la canzone, descrivendole,
prende le mosse. Ciò che comunque fa pensare in questa canzone è che una società non
può censurare le domande di verità e di felicità dell'uomo: esse sono
destinate a riemergere continuamente, specialmente nella coscienza dei
giovani. Come ha scritto acutamente Joseph Ratzinger "una società agnostica è
malinconica per essenza, un luogo della disperazione"[1]. Eppure la censura delle domande ultime e l'agnosticismo sono stati e
continuano ad essere quasi una legge nei criteri educativi delle nostre
società. Basti citare qui due esempi emblematici. Il primo è tratto da un famoso libro di testo di letteratura
italiana, uno dei più diffusi nelle scuole italiane: il Disegno storico della Letteratura Italiana, di Natalino Sapegno.
A proposito della vita di Leopardi vi si trova scritto: "Le domande in
cui si condensa la confusa e indiscriminata velleità riflessiva degli
adolescenti, la loro primitiva e sommaria filosofia (che cosa è la vita? a
che giova? quale il fine dell'universo? e perchè il dolore?), quelle domande
che il filosofo vero ed adulto allontana da sé come assurde e prive di un
autentico valore speculativo e tali che non comportano risposta alcuna né
possibilità di svolgimento, proprio quelle diventarono l'ossessione di
Leopardi, il contenuto esclusivo della sua filosofia". Commenta
Giussani: "Omero, Sofocle, Virgilio, Dante, Dostoevskij, Beethoven
sarebbero degli adolescenti, perché tutta la loro espressione è determinata
da quelle domande, grida quelle esigenze che - come diceva Thomas Mann -
danno "fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni nostro
problema". Io sono ben lieto di stare nella compagnia di quelli, perché
un uomo che azzera la questione non è un uomo umano!"[2] Il secondo esempio è tratto da un testo di uno dei maggiori
responsabili di quella pedagogia che si è imposta dapprima in America e
quindi in Europa e che è uno degli autori più studiati nelle scuole superiori
italiane a indirizzo pedagogico, John Dewej: "Abbandonare la ricerca
della realtà e del valore assoluto e immutabile, può sembrare un sacrificio,
ma questa rinuncia è la condizione per impegnare in una vocazione più vitale.
La ricerca dei valori che possono essere assicurati e condivisi da tutti
perché connessi alla vita sociale, è una ricerca in cui la filosofia troverà
non rivali, ma coadiutori negli uomini di buona volontà". L'esito di questa pedagogia,
di questa censura sistematica delle domande più grandi e radicali dell'uomo,
è proprio quel "perbenismo
interessato" contro il quale si sollevarono i giovani sopra
ricordati. Peccato che, come ha acutamente notato Pasolini, essi credettero
di identificare il male della società nel suo passato, nella sua tradizione
che appariva logora e spenta; ma era proprio di quella tradizione che la
nuova cultura dominante voleva liberarsi, perché nonostante tutto con i suoi
valori quella tradizione costituiva un freno insopportabile; e perciò la
generazione del 68, scagliandosi contro quel passato finì col rendere un ottimo
servizio a quella società loro contemporanea che pensavano invece di
combattere e di cambiare: "generazione sfortunata... tu disobbedendo
obbedisti"[3]. |
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Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente cercare il sogno che conduce alla pazzia nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già Lungo le notti che dal vino son bagnate dentro alle stanze da pastiglie trasformate dentro alle nuvole di fumo, nel mondo fatto di città essere contro ed ingoiare la nostra stanca civiltà E' un Dio che è morto, ai bordi delle strade dio è morto nelle auto prese a rate Dio è morto nei miti dell'estate Dio è morto M' han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede nei miti eterni della patria e dell'eroe perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità Le fedi fatte di abitudini e paura una politica che è solo far carriera il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto E' un Dio che è morto, nei campi di sterminio Dio è morto coi miti della razza Dio è morto con gli odi di partito Dio è morto Io penso che questa mia generazione è preparata ad un mondo nuovo e a una speranza appena nata ad un futuro che ha già in mano a una rivolta senza armi perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge in ciò che noi crediamo, Dio è risorto in ciò che noi vogliamo, Dio è risorto nel mondo che faremo, Dio è risorto - Dio è risorto |